Il ciliegio fiorito e il tiranno caduto
di Acquapendente (Viterbo)

È la delicata storia della fioritura miracolosa di un ciliegio secco avvenuta nel secolo XII a Acquapendente e del suo santuario. Tre secoli dopo la devozione rifiorì grazie al Servo di Maria predicatore fra Domenico da Viterbo che fu anche priore della SS. Annunziata di Firenze (1476-4 novembre 1477). Per chi non lo sapesse la vicenda è narrata dagli Annali dei Servi di Maria, I, 524 (la traduciamo):

«L’anno 1467, grazie allo zelo del maestro Domenico da Viterbo fu aggiunto al nostro Ordine il luogo di Acquapendente, dove un tempo si trovava l’antico santuario di Santa Maria del Fiore; il debito fervore di servizio ci invita a farne celebrazione, specialmente quando si ha l’opportunità di lodare la nostra Patrona in questi Annali, senza che si trovi qualcosa di spiacevole, e perché, riguardo ai nostri benefici che offrono tale opportunità, non si venga accusati di spirito ingrato.
Il perché allora quell’antica immagine della beata Vergine abbia avuto tra gli aquesiani il soprannome di del Fiore è ora da spiegare in breve.
Nell’anno 1166, dunque, essendo sommo pontefice Alessandro III e imperatore Federico I, a Acquapendente regnò un tiranno, il quale opprimeva con crudele ferocia quel paese e tutti quelli vicini, e anche i pellegrini romei ed altri che passavano. Perciò gli aristocratici di quella terra, che spesso si dolevano tra loro della crudele tirannide, a poco a poco cominciarono a cospirare contro di lui.
Avvenne che, giunto il mese di maggio, fuori della porta che si chiamava Santa Vittoria, si radunarono due contadini per coltivare una vigna, dove sopravviveva un albero di ciliegio secco da tempo ed era accanto a un’immagine della beata Maria Vergine anticamente dipinta in una celletta.
I due contadini non si trovavano d’accordo tra loro, e riguardo all’incipiente congiura dei cittadini contro il tiranno, avevano diversa opinione sul fatto che un giorno si sarebbe giunti al fine desiderato, e mentre uno era sicuro di quell’evento, l’altro lo derideva, lo sgridava e negava che si potesse fare; e intanto restando ostinatamente nella propria opinione e guardando quell’albero secco, disse: Sarà più facile che quell’albero di ciliegio rinverdisca per la potenza dell’immagine della Beata Vergine, che i nostri cittadini possano mai scrollarsi di dosso il giogo di questo tiranno.
Appena il contadino ebbe detto questo l’albero secco fu visto rivivere in tutte le sue parti con le gemme gonfie e con i fiori sbocciati. Entrambi furono sbalorditi, da entrambi fu subito venerata la sacra immagine e da entrambi uscì fuori questa voce: Misericordia, Misericordia dalla Santa Madre di Dio!
Ci fu subito un gran clamore: i cittadini e i villici accorsero; tutti ammirarono e temettero; tutti gridarono, Maria, Madre di Grazie, Madre di misericordia, proteggici dal nemico!
Si trovava tra loro un uomo devoto, Alberto il Bretone, che per lungo tempo aveva condotto vita eremitica presso il tempio di Santa Vittoria e oggi è ritenuto dagli aquesiani nel numero dei loro beati.
La notte seguente fu ammonito dalla visione della Vergine e, senza indugio, si recò a Roma da papa Alessandro, e narrò la cosa con ordine come era avvenuta e come gli aquesiani, dopo la sconfitta del tiranno, desiderassero restare soggetti a lui, se potevano.
Il pontefice, udito ciò, convocò insieme gli eserciti dei fiorentini, degli orvietani e dei senesi e subito assediò il tiranno, lo sconfisse e mise Acquapendente nella sua antica libertà, sotto la protezione della Chiesa.
Gli aquesiani quindi decisero di adempiere a un voto: che nel luogo dove era fiorito l’arido ciliegio, fosse costruito un tempio in onore della Beata Vergine e lì, alle idi di maggio, per ringraziamento fossero tenute dal senato le preghiere solenni annuali.
Terminato a suo tempo il santuario, gli aquesiani presero la consuetudine di portare in processione durante la solennità un’immagine della Beata Vergine, che la famiglia dei Biondi aveva fatto scolpire dallo stesso ciliegio secco e consacrare nella chiesa di Sant’Agostino; sulla sua base si legno si leggono incise a perpetua memoria le parole:

“Sacrum hoc Deiparæ simulacrum Blondorum eadem cura ceraso incisum, quae vetustate jam arida Anno Domini MCLXVII divina virtute floruisse, & Virginem gloriosam cum filio cunctis cernentib. apparuisse fertur. Quo miraculo Aquenses idibus Maij solemni processione per oppidum annuatim deferri publica lege sanxerunt”.
“Si esalti questa sacra immagine della Madre di Dio scolpita a cura dei Biondi in quel ciliegio che, secco per vecchiaia, fiorì grazie alla potenza divina nell’anno di nostro Signore 1167, e per il quale la Vergine gloriosa con suo Figlio apparve a tutti quelli che potevano vedere. Per questo miracolo, gli aquesiani ordinarono che per legge pubblica ogni anno alle idi di maggio fosse portata in solenne processione nei villaggi”.

Anche il clero, insieme col popolo, determinò di porre quel giorno fra i sacri fasti [le memorie gloriose] e volle che fosse celebrato con l’apposito ufficio delle Ore divine fin dai primi Vespri. E inizia con l’ antifona ai Vespri: Alziamoci la mattina; alle vigne, e vediamo se sono fiorite, perché i fiori sono apparsi nella nostra terra, alleluia.
Aggiunsero le lezioni anche nel secondo notturno, descrivendo ampiamente questo miracolo. Avvenne poi che, dopo un lungo periodo di tre secoli, raffreddandosi a poco a poco la devozione quella chiesa del suburbio ne diventasse quasi priva. Ma il suddetto maestro Domenico da Viterbo ne fece declamazione sulla tribuna maggiore durante la Quaresima e specialmente il sabato, e la spiegò con la massima lode di Santa Maria del Fiore; grazie alla sua eloquenza ed esortazione gli aquesiani affidarono il luogo all’Ordine dei Servi di Maria.
Lo stesso anno avvenne a Firenze la preziosa morte del beato Domenico, al quale il nostro Attavanti [fra Paolo, scrittore, † alla SS. Annunziata nel 1499] testimonia e riconosce una certa dolcezza spirituale; ne parlò nel suo Dialogo.

Domenico (dice), tra gli altri uomini della nostra città, si distinse nella santità per una stirpe più sublime che ebbe il caratteristico onore della castità, il quale sempre mostra la porta del Paradiso. Io trovai nei sermoni quotidiani in archivio molti ricordi di santità e documenti sul modo di condurre la vita onestamente, e fui influenzato così a tal punto dal dolce sermone, che godendo la sua familiarità per la maggior parte del giorno, mi sembrava trascorsa solo un’ora».

Traduzione di Paola Ircani Menichini, 15 gennaio 2022. Tutti i diritti riservati.




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